
Oggi andiamo vicino a Lucca, in un posto davvero particolare. Si tratta dell’ex Ospedale Psichiatrico di Maggiano, anche noto in precedenza come Ospedale di Fregionaia, chiuso con l’entrata in vigore della legge 170 del 1978 (la famosa Legge Basaglia) e rimasto intatto, anche se ormai in rapido deterioramento – alcune parti sono infatti già crollate negli anni. Oggi la struttura è visitabile con un percorso guidato, grazie al lavoro della Fondazione Mario Tobino, la quale cura l’eredità culturale dello scrittore e psichiatra originario di Viareggio, che qui lavorò per circa quarant’anni. Sono riuscita a partecipare alla visita a fine agosto di un paio d’anni fa, spinta da un desiderio di intraprendere un lavoro di ricerca familiare. Infatti, il fratello di mia nonna, reduce della Seconda Guerra Mondiale, rimase in questa struttura per almeno dieci anni, per poi essere dimesso e affidato alle cure dei parenti (urge lavoro di archivio, perché del suo soggiorno lì nessuno ha mai voluto parlare con chiarezza). Come molti altri combattenti al fronte, tornò a casa fortemente segnato nel fisico e nella mente, e nel dopoguerra non si sapeva cosa fare, a livello istituzionale, dei cosiddetti ‘scemi di guerra’ (termine brutale usato un tempo, a partire dalla Grande Guerra, per indicare chi tornava con quello che oggi si chiama DPTS, disturbo post-traumatico da stress); molti di loro finirono in strutture di assistenza e ospedali, se le famiglie in quel momento non potevano prenderli con sé.

Riporto solo brevemente alcune tappe dell’evoluzione storica di questo luogo denso di memorie, che affonda le radici nell’antichità, mantenendo intatta la sua vocazione di accoglienza e cura. Nasce infatti come monastero di Santa Maria nel sesto secolo, che poi Matilde di Canossa fa restaurare come complesso. Nel 1769 il Consiglio Generale della Repubblica di Lucca lo individua come luogo da adibire alla cura delle persone affette da disturbi mentali, e viene quindi ribattezzato “Spedale di S. Luca della Misericordia” – di fatto, uno dei primi manicomi in Italia. Nel 1817, sotto la guida del chirurgo Giovanni Buonaccorsi, diventa un centro all’avanguardia per la riabilitazione dei malati, sperimentando l’introduzione di attività ricreative e agricole, i benefici del tempo all’aria aperta e l’uso di metodi coercitivi solo in casi di estrema necessità. Durante tutto l’Ottocento, la struttura viene ampliata e aumentano i numeri dei ricoverati (circa 400).
Nei primi del ‘900 i medici introducono il no-restraint, ossia il divieto assoluto di legare e contenere i pazienti, che verrà accompagnato, negli anni successivi, da interventi di continuo miglioramento della struttura, ma anche e soprattutto della vita dei pazienti e del personale al suo interno. Nel 1942, Mario Tobino, reduce dall’esperienza della guerra in Libia e già scrittore, comincia a lavorare a Maggiano e nel 1948 ne diventa primario. Alla vita del manicomio e ai suoi abitanti dedicherà alcune dei suoi romanzi più celebri, tra cui Le libere donne di Magliano, Per le antiche scale, e Gli ultimi giorni di Magliano.

Nel secondo dopoguerra, si torna a sperimentare con il dottor Domenico Gherarducci, che diventa nuovo direttore di Maggiano. Si reintroducono e potenziano le attività di svago, arte e artigianato, si insiste sulla partecipazione diretta dei malati e degli infermieri alla vita dell’istituto. Viene introdotto un festival della canzone, che, fino al 1968, vede una volta l’anno l’arrivo di pazienti da altri istituti di tutta Italia per una gara di canto, e un’apertura della struttura al pubblico, secondo il concetto di ‘ospedale paese’. Questo evento rappresenta un momento importante di condivisione delle buone pratiche di socializzazione per i malati. In quegli anni poi comincia a circolare un testo cruciale: Asylums di Erving Goffman, che conia il termine ‘istituzioni totali’, tra cui in primis gli istituti psichiatrici, e ne denuncia gli effetti dannosi sugli individui e la società. Con la Legge Mariotti, i ricoveri diventano perlopiù su base volontaria, e l’istituto introduce nuove attività ricreative e lavorative per i pazienti, che sono circa 900 tra uomini e donne. Viene poi creato il Gruppo per la demitizzazione della malattia mentale, che opera per sconfiggere lo stigma sociale sui disturbi psichici e per aggiornare le tecniche di riabilitazione dei malati. Quando entra in vigore la Legge Basaglia, Maggiano opera a porte aperte già da quattro anni. Nel 1980, Tobino va in pensione ma continua a frequentare la camera e lo studio personale a Maggiano, ancora oggi visitabili. Dopo un progressivo svuotamento, la struttura termina la sua funzione nel 1999 e viene chiusa al pubblico.
Durante la visita, si possono vedere alcune sezioni dell’ospedale, tra cui le camere dei pazienti, la camera e lo studio di Mario Tobino, una sala che raccoglie la strumentazione medica di varie epoche, un’altra adibita alle visite e decorata con ritratti dipinti dai pazienti, e infine i bagni e le cucine. Nonostante l’impegno della fondazione nel mantenere accessibile al pubblico la struttura, molto potrebbe e dovrebbe essere fatto per tutelare questo luogo che ha tanto da raccontare, e che potrebbe aiutare a mantenere viva l’attenzione sia sullo stato della salute mentale in Italia oggi, che sullo stato di rovina di tanto patrimonio culturale che potrebbe essere invece riqualificato e reso fruibile a tutti.


Nel 2006, viene istituita la Fondazione Mario Tobino, con il seguente obiettivo: “Conservare, valorizzare, ma soprattutto mettere a frutto e sviluppare la grande eredità culturale di Mario Tobino; riportare alla luce le vicende dell’Ospedale di Fregionaia fin dalla sua istituzione, recuperare la memoria storica di un’intera comunità, favorire l’indagine critica della produzione letteraria tobiniana e allo stesso tempo farsi strumento di promozione del dibattito regionale e nazionale destinato a progettare il futuro dell’assistenza psichiatrica”. La figura di Tobino sembra in effetti quasi diventata tutt’uno con Maggiano, dove aveva scelto di vivere, insieme ai malati che curava, stabilendo con loro un rapporto di confidenza e amicizia. E’ importante sottolineare che Tobino, come emerge con forza in Gli ultimi giorni di Magliano, era di fatto contrario alla chiusura dei manicomi, perché pensava che la protezione e le cure che ricevevano in simili strutture non sarebbero state eguagliate né dai presidi territoriali che vennero poi istituiti, e che privilegiavano l’uso degli psicofarmaci come terapia, né dalla libera società che avrebbe comunque non compreso e confinato ai suoi margini le persone affette da disturbi mentali.


Se avete occasione, vi consiglio di prenotare una visita (di solito si tengono l’ultimo sabato di ogni mese) e conoscere questo luogo così complesso e toccante, decisamente da proteggere per le generazioni future, che come pochi altri fa riflettere su cosa sono stati i manicomi, sul senso di solidarietà e comunità che si può creare in un posto simile tra pazienti, dipendenti e personale medico, e, soprattutto, sullo stigma che, in forme diverse, ieri come oggi, la società riserva alle persone affette da disturbi mentali.
Concludo con alcuni consigli di lettura/visione:
Mario Tobino, Per le antiche scale, 1972 (vincitore del Premio Campiello).
Giovanni Contini, Marco Natalizi, Maggiano: gli anni del cambiamento 1958-1968, 2020.
Valeria Paola Babini, Liberi Tutti. Manicomi e psichiatri in Italia: Una storia del Novecento, 2011.
‘Mario Tobino psichiatra e poeta’, puntata di Passato e Presente, 1 febbraio 2023, Rai 3, https://www.youtube.com/watch?v=MH1LBIUXxsY

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