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esplorazione di luoghi non comuni

#3 Ex Carcere Militare – Gaeta

Oggi andiamo a Gaeta, in un luogo in corso di recupero e rivalorizzazione: il Castello Angioino, utilizzato come carcere militare fino al 1990. Dopo un lungo periodo di chiusura e abbandono, ora è infatti visitabile quasi tutti i giorni, soprattutto d’estate, grazie alla presa in carico da parte dell’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale, del Comune di Gaeta e del Gaeta Sporting Club 1970. Ho visitato questo posto un paio di anni fa, ad agosto, e grazie al percorso guidato è stato possibile comprendere le vicende umane che lo hanno segnato nel corso dei secoli.

La fortificazione fu eretta già nel sesto secolo come struttura di difesa durante le espansioni longobarde, per essere poi utilizzata da Federico II di Svevia, che nel 1223 la fece ampliare. La struttura oggi è in realtà composta da due parti, una angioina, completata durante il dominio francese, e una aragonese, realizzata sotto l’imperatore Carlo V. Le due sezioni, messe in comunicazione tra loro, arrivarono ad occupare una superficie di ben 14.000 mq, costituendo così una delle maggiori fortezze del Sud Italia già nel Cinquecento. Gaeta fu protagonista anche nell’Ottocento: nel castello si rifugiò Pio IX quando fu proclamata la Repubblica Romana (1849), e fu qui che, dopo un lungo assedio, la sconfitta dell’esercito delle Due Sicilie da parte dei piemontesi portò all’annessione del Meridione e poi alla nascita del Regno d’Italia. Già nel Settecento, però, la parte angioina, alla base della struttura, fu utilizzata come carcere militare. Durante il Regno d’Italia, e poi con la Repubblica, il castello venne infatti destinato alla reclusione di coloro che avevano commesso crimini militari o erano colpevoli di insubordinazione, diventando sinonimo di carcere rigido (per un periodo andava di moda minacciare i bambini che si comportavano male di mandarli, appunto, a Gaeta).

Uno dei corridoi principali

Nel corso della visita guidata, assolutamente consigliata e di forte coinvolgimento, avrete modo di esplorare le varie zone del castello, e di conoscere in particolare la storia più recente del carcere, attraversando corridoi, affacciandovi su alcune delle celle, fino a salire infine sul terrazzo, che permette di riprendere un po’ d’aria e luce dopo gli spazi confinati e in penombra della reclusione.

Il cortile d’ingresso

Vorrei soffermarmi su due storie che mi hanno particolarmente colpito, e che riguardano proprio le persone che sono state confinate in questo luogo, anche se per motivi che non potrebbero essere più opposti: la prima riguarda due criminali nazisti che sono stati qui detenuti e che entrambi, in un modo o nell’altro, non hanno finito di scontare la propria pena; la seconda riguarda la prigionia di coloro che si rifiutavano di prestare servizio di leva per obiezione di coscienza.

Uno dei capitoli più bui nella storia novecentesca di Gaeta è che proprio tra queste mura sono stati reclusi due noti criminali nazisti: Herbert Kappler e Walter Reder. Il primo era comandante della Gestapo a Roma, e in quanto tale fu il diretto responsabile di numerosi crimini contro civili a Roma, tra cui il rastrellamento del ghetto della capitale nel 1943, il rastrellamento del Quadraro nel 1944, e, nello stesso anno, l’eccidio delle Fosse Ardeatine. Condannato nel 1948, fu trasferito a Gaeta per scontare l’ergastolo. Durante il processo, Kappler sostenne, come altri criminali nazisti, di avere semplicemente eseguito gli ordini dei suoi superiori, e, quindi, di non essere moralmente responsabile dei reati a lui imputati. Si dice che a Gaeta Kappler ricevesse diversi trattamenti preferenziali, tra cui ottima cucina, possibilità di ricevere visite femminili e di tenere un acquario di pesci tropicali in cella. Poté anche sposarsi nel 1972, e suo testimone di nozze fu proprio l’altro nazista Reder. Nel 1976, in seguito a una diagnosi di tumore al colon, gli fu concesso di recarsi all’ospedale militare Celio a Roma, e di ottenere la libertà vigilata per motivi di salute, con l’obbligo di non lasciare l’Italia. Nell’agosto del ’77, aiutato dalla moglie – che, si dice, lo avrebbe nascosto in una grande valigia, oppure lo avrebbe avvolto in una coperta e disteso nell’auto – Kappler riuscì a scappare e a rifugiarsi in Germania. Si aprì un caso diplomatico tra il governo italiano e quello tedesco, che negò l’estradizione. Dopo qualche mese, Kappler morì a Luneburgo, circondato dai suoi cari e dai nostalgici. Secondo la giornalista Stefania Limiti, quella del comandante nazista fu una vera e propria fuga di Stato, orchestrata da un’organizzazione segreta italiana, l’Anello, come compensazione per un prestito di denaro che la Germania Ovest aveva fatto all’Italia.

Per quanto riguarda invece l’austriaco Walter Reder, basti ricordare che in quanto comandante della Waffen-SS aveva eseguito o collaborato a vari livelli agli eccidi nazisti contro civili a Vinca, Nozzano, Sant’Anna di Stazzema, San Terenzo Monti, Marzabotto e Bergiola Foscalina. Catturato dagli alleati in Germania, fu estradato e portato in Italia per essere processato. Nel 1951, fu condannato all’ergastolo, da scontare a Gaeta. Diversamente da Kappler, almeno a parole dichiarò di essere pentito e provò persino ad ottenere la scarcerazione chiedendo perdono ai cittadini di Marzabotto, i quali, in un referendum popolare nel 1967, si espressero contrari. In realtà, prima della morte, ritrattò poi anche le scuse. Ad ogni modo, nel 1985 il governo italiano concesse la liberazione e persino il rimpatrio anticipato in Austria. Reder morì a Vienna, da cittadino libero, nel 1991.

Mette i brividi pensare che un luogo come questo carcere possa avere ospitato in contemporanea due criminali di guerra che, con bene stare dell’Italia, hanno trovato il modo di non scontare fino in fondo la propria pena e, poche celle più in là, migliaia di detenuti che, negli anni, sono finiti in carcere per non avere voluto combattere, né prestare servizio di leva militare. Sottochiave allo stesso modo sono infatti stati Kappler e Reder, da un lato, e anarchici, cattolici, testimoni di Geova e chiunque si rifiutasse di imbracciare le armi per lo stato, dall’altro. Del resto, in Italia la famosa “naia”, ossia il servizio di leva, è rimasta obbligatoria fino al 1972, anno dell’approvazione della legge 772, che riconosceva il diritto all’obiezione di coscienza per motivi etici. Da quell’anno e fino al 2005, chi si appellava all’obiezione doveva comunque svolgere un servizio civile obbligatorio. Ad esempio, Claudio Pozzi, cattolico, scontò 5 mesi di reclusione proprio a Gaeta, poco prima che, a dicembre del ’72, l’obiezione venisse riconosciuta legittima, dopo anni di lotte da parte di movimenti pacifisti e gruppi nonviolenti di tutta Italia.

Insomma, niente male questo ex carcere come spunto di riflessione sui paradossi e le incongruenze della giustizia italiana.

Davanti al posto di servizio
Magazzino
Interno del carcere
Ingresso a una cella
La salita al terrazzo
Vista dal terrazzo 1
Vista dal terrazzo 2

Consigli di lettura/visione:

Di là dal fiume e tra gli alberi, “Ti mando a Gaeta!”, Rai 5, 16 maggio 2021, https://www.youtube.com/watch?v=4_OTCwb1j0o

Stefania Limiti, “Quella di Kappler fu una fuga di Stato”, Il Fatto Quotidiano, 15 agosto 2023, https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/08/15/quella-di-kappler-fu-una-fuga-di-stato/7259066/

“Cinquant’anni di obiezione di coscienza”, Il Post, 15 dicembre 2022, https://www.ilpost.it/2022/12/15/legge-1972-obiezione-di-coscienza/


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