
Mentre leggevo Il mutuo appoggio: un fattore dell’evoluzione di Pëtr Kropotkin, edito da elèuthera nel 2020, ho dovuto sforzarmi di ricordare più volte che è un libro scritto e pubblicato più di cento anni fa, nel 1902, quando ancora non c’erano state le due guerre mondiali, non c’erano stati la rivoluzione bolscevica, né il fascismo, né il nazismo, il cinema era appena nato, e George Orwell aveva un anno di vita. Mi sono forzata a tenerlo costantemente presente perché, complice il suo stile così coinvolgente e diretto, e l’attenta traduzione dall’inglese di Giacomo Borella, sembra veramente scritto l’anno scorso. E l’idea principale che il suo autore difende con tenacia e urgenza, cioè che dobbiamo ripartire dall’aiuto reciproco come principio fondante della società e della vita su questo pianeta, dovrebbe essere portata in giro per le strade, in ogni classe, in ogni riunione e comitato, perché, anche se tutto sembra incoraggiarci a dimenticarsene, è quantomai attuale e necessaria. Anzi, potrebbe essere quello che veramente ci porterà ad affrontare la crisi climatica globale nei prossimi anni, e sopravvivere in tanti.
Molti si ricorderanno di aver studiato a scuola che la dura legge che governa il mondo animale, e per estensione quella umana, è la “legge della giungla”, la legge del più forte, la sopravvivenza della specie più adatta a un certo ambiente. Di solito si studia a scienze, a filosofia, a storia, memorizzando senz’altro il nome di Charles Darwin come teorico principale dell’evoluzionismo. Si parla poi spesso anche dell’applicazione che gli studiosi del diciannovesimo secolo fecero di queste sue teorie all’evoluzione delle società umane, cioè il cosiddetto darwinismo sociale. Ebbene, partendo proprio dal padre dell’evoluzionismo, in questo suo volume Kropotkin dimostra con forza che la lettura dei darwinisti che andò affermandosi era quantomeno incompleta: certamente Darwin aveva concluso che l’individuo più adatto è quello che sopravvive, vince la concorrenza e gli ostacoli e genera discendenti, ma allo stesso tempo aveva anche riconosciuto il ruolo cruciale dell’aiuto reciproco e della socializzazione tra membri della stessa specie e di specie diverse. Anzi, forse questo dovrebbe essere visto come prevalente, visto che, senza di esso, la vita stessa si sarebbe estinta da un bel pezzo – basti pensare ai cuccioli di tante specie, che nei primi mesi o anni di vita, non sarebbero in grado di sopravvivere senza l’assistenza totale da parte degli adulti. Secondo Kropotkin, insomma, delle due idee cruciali diffuse da Darwin nei suoi scritti, da un lato l’aiuto reciproco, dall’altro l’enfasi sulla competizione, tra la metà e la fine Ottocento la comunità intellettuale dominante accolse più favorevolmente la seconda, che non per nulla legittimava l’ormai avviato sfruttamento capitalizzato delle masse di lavoratori nell’era industriale, la missione “civilizzatrice” di un altrove popolato da “primitivi” da plasmare a immagine occidentale, e il crescente antagonismo tra gli stati-nazione in Europa. Meno comodo faceva di certo diffondere teorie scientifiche che promuovevano la solidarietà, che, come ricorda l’autore, nonostante tutto in ogni epoca umana non ha mai cessato di esistere. Uno dei padri del pensiero anarchico ci guida quindi in una riscoperta della collettività: capitolo dopo capitolo, la solidarietà e la convivialità diventano il filo narrativo per una nuova controstoria, che sembra riempire i vuoti dei libri su cui generazioni intere hanno studiato, quelli che sembrano concludere inesorabilmente, alla Hobbes, che il conflitto tra simili e tra specie diverse siano il motore primo di sviluppo e progresso.
Kropotkin, nato in una famiglia aristocratica moscovita, era di fatto un principe che intraprese ben presto la carriera militare in Siberia, dove entrò a contatto con il pensiero rivoluzionario e cominciò le sue osservazioni scientifiche sulla sopravvivenza delle specie animali in uno dei climi più ostili sul pianeta. Dopo lunghe riflessioni, giunse alla conclusione che quello che permetteva loro di non estinguersi era spesso proprio la tendenza a unire le forze davanti ai pericoli, per la ricerca di cibo e per l’accudimento dei piccoli. Di ritorno in Russia, venne ben presto imprigionato per la sua attività politica, riuscì a evadere per rifugiarsi in Svizzera, e poi, dovendo fuggire anche da lì, nel Regno Unito, dove si dedicò alla scrittura e alle pubblicazioni di articoli e saggi, tra cui appunto Il mutuo appoggio. Il volume, curato da Borella e con la prefazione di Lee Alan Dugatkin, è diviso in otto capitoli, e raccoglie vari articoli che l’autore aveva pubblicato in rivista, ognuno dei quali talmente ricco di idee e spunti che meriterebbe un discorso a sé. Mi limito qua a riassumerli brevemente. I primi due capitoli sono dedicati al mondo animale e riportano numerosi esempi, tra cui la vita sociale delle formiche, degli uccelli, dei ratti, dei cavalli e dei daini, concludendo che la tendenza a vivere insieme prevale su quella del mettersi in competizione, come afferma enfaticamente l’autore nell’ultimo paragrafo:
“Non entrate in competizione! La competizione è sempre dannosa per la specie, e avete risorse in abbondanza per evitarla!”: è questa la tendenza della natura, non sempre pienamente realizzata, ma sempre presente. È la parola d’ordine che ci viene dalla boscaglia, dalla foresta, dal fiume, dall’oceano: “Unitevi, praticate il mutuo appoggio! Esso è il mezzo più certo per dare a ognuno e a tutti la maggiore garanzia di esistenza e di progresso fisico, intellettuale e morale” (p. 117).
Il terzo capitolo si occupa del mutuo appoggio tra le popolazioni “primitive” – e questo è forse l’unica parte che, per i termini, il tono, e il riferimento ai concetti di progresso e sviluppo, appare più datato ed eurocentrico. Se alcune frasi appaiono decisamente frutto di altri tempi, Kropotkin si occupa comunque delle popolazioni non europee per offrirne un giudizio positivo, cosa non scontata vista l’epoca, sottolineando la loro prevalente tendenza alla socialità e alla creazione di clan e villaggi con precise regole di convivenza. Queste riflessioni proseguono nel quarto capitolo, dedicato invece alle popolazioni “barbare” che giunsero in Europa all’epoca dell’Impero Romano. A mio avviso, i capitoli più illuminanti sono però i quattro finali, due dei quali sono dedicati al mutuo appoggio nella città medievale, e due alle tendenze solidali “tra di noi”, cioè negli anni in cui Kropotkin stava scrivendo.
In controtendenza a tanta storia che aveva fatto passare il medioevo come un’epoca di crisi, l’autore identifica proprio in questo periodo uno dei momenti più alti nello sviluppo di associazioni umane di aiuto reciproco, prive di un potere centrale, anche se costantemente messe alla prova dall’avvento del feudalesimo e dal rischio di invasioni o guerre circostanti. La sua attenzione si concentra su due entità del decimo e undicesimo secolo, la gilda e la città medievale, entrambe alte espressioni di autogoverno e autogiurisdizione che non sono più state eguagliate nella storia, dice Kropotkin, che scrive appunto alla fine dell’Ottocento. I più estensivi tentativi di riportare in vita simili associazioni devono ancora venire, infatti, e noi sappiamo a quali pessime interpretazioni e derive hanno portato nel Novecento. Quello che differenziava le gilde e le città dallo Stato che verrà, infatti, era la qualità informale e “ravvicinata” di queste associazioni: al posto della burocrazia e delle forze armate, i suoi membri dovevano rendere conto gli uni agli altri, perché ci si conosceva di persona e si condivideva la propria quotidianità di vita, lavoro, e, appunto, aiuto reciproco in ogni aspetto, tra cui la casa, la salute, la famiglia e il cibo, spesso con acquisti collettivi del grano e altri beni di prima necessità, abitudine che è durata per secoli in tante città. Secondo Kropotkin, infatti, “garantire la libertà, l’autogoverno e la pace era lo scopo principale della città medievale” (p.222), e ognuna soddisfò questi bisogni in maniera unica, perché unica era la comunità che vi abitava, che col tempo poteva poi unire le forze con altri comuni, formando federazioni. Il benessere e l’espressione artistica raggiunti in quest’epoca, dice l’autore, sono facilmente constatabili nella fioritura delle città, nel progresso tecnologico e nei capolavori di architettura che cominciarono a costellare l’Europa in lungo e largo, e che ancora oggi possiamo apprezzare. Dopo un lungo periodo di successo, però, anche le città medievali persero il loro potere. Due furono tra le cause principali: il crescente potere dei signori feudali che accentrarono l’autorità politica su di sé, con l’appoggio delle sfere ecclesiastiche, e l’investire sul commercio tra città trascurando il legame con le campagne e l’agricoltura.
Gli ultimi due capitoli, invece, si occupano dello sviluppo dell’idea centralizzante di stato-nazione che si va formando a partire dal Cinquecento. In questo periodo, ci dice Kropotkin, “le comunità di villaggio furono private delle loro assemblee popolari, del loro tribunali e della loro amministrazione indipendente; le loro terre furono conquistate” (p.273). L’intenzione era quella di creare un ente che, dall’esterno e dall’alto, sostituisse gli sforzi fatti per secoli dal basso. Questo portò ben presto a delegare allo Stato i doveri verso gli altri cittadini che prima erano assicurati gli uni gli altri dai cittadini stessi, e quindi anche a un crescente individualismo. Ciononostante, Kropotkin evidenzia quanto il reciproco sostegno non sia mai morto, e lo fa citando moltissimi esempi: assemblee di villaggio che, una volta sciolte con la forza da sovrani vari, vengono ricreate poco dopo; terre confiscate ai contadini che dopo qualche anno vengono rioccupate collettivamente e coltivate nuovamente con attrezzi comuni; ridistribuzione gratuita di legna e pietre per costruire le case tra i contadini, in barba all’acquisto capitalizzato da terzi privati o dallo Stato. E infine, subito con l’avvento dell’industrializzazione, unioni e sindacati tra gli operai e le operaie che si associano per fornirsi aiuto reciproco e chiedere condizioni di lavoro accettabili. Sorgono nell’Ottocento ovunque casse di mutuo soccorso, confraternite e associazioni che ammortizzano le condizioni dei lavoratori in sciopero, che si occupano di prestare soccorso contro incendi e calamità, che forniscono assistenza sanitaria ed educazione a chi ha meno mezzi o è in difficoltà. Ma nascono anche tante associazioni ricreative, “interamente dedicate a condividere con gli altri le gioie della vita” (p.322). Esempi di sforzi compiuti per aiutarsi a vicenda dai meno abbienti di Londra occupano la seconda metà dell’ultimo capitolo, e sono forse tra le pagine più sentite e toccanti del libro, che gettano in faccia quanto siano stati alienati dai propri simili gli abitanti più agiati delle città, al punto di renderli capaci di vedere bambini tremanti e affamati per strada e riuscire a passare oltre.
Insomma, anche se pubblicato più di un secolo fa, questo libro ha ancora tanto da dirci. Tanto per cominciare, sembra dire: basta con l’affermare che i conflitti sono inevitabili perché sono la legge di natura alla base dell’agire umano, e lo sono, del resto, sempre stati. Kropotkin, pur riconoscendo l’esistenza di questa tendenza, ci vuole ricordare che quella all’unire le forze è ben più importante e utile, perché permette attraverso la condivisione e la ridistribuzione di rendere la vita migliore a un maggior numero di individui. Idee come queste possono sembrare puro buonsenso, eppure, se ci guardiamo intorno, non sono esattamente quello che insegniamo a scuola alle generazioni presenti e future, neanche in anni in cui il disastro climatico, nuove guerre e il consolidamento delle vecchie e nuove povertà fanno presagire un avvenire quantomeno difficile per il 99 percento degli abitanti del pianeta.
Credo di aver detto abbastanza. Vi rimando quindi alla lettura di questo testo, augurandovi che sia scorrevole e appassionante come lo è stata per me, e lasciandovi con un’ultima citazione:
“Le calamità naturali e sociali passano. Intere popolazioni sono ridotte periodicamente alla miseria o alla fame; le sorgenti della vita di milioni di uomini sono annientate ed essi sono ridotti all’indigenza nelle città; la conoscenza e i sentimenti di milioni di persone sono viziati da insegnamenti concepiti per l’interesse di pochi: è indubbio che tutto ciò costituisca una parte della nostra esistenza. E tuttavia il nucleo di istituzioni, usanze e consuetudini di sostegno reciproco resta vivo tra milioni di persone, le mantiene unite, ed esse preferiscono restare attaccate alle loro consuetudini, credenze e tradizioni piuttosto che accettare l’insegnamento della guerra di tutti contro tutti, che viene spacciato per scienza, ma che non lo è affatto” (p. 299).
Letture/visioni consigliate:
Pëtr Kropotkin, Il mutuo appoggio: un fattore dell’evoluzione, Milano, elèuthera, 2020
Giorgio Fontana, “Kropotkin. Solidarietà invisibile”, Doppiozero, 30 maggio 2020, https://www.doppiozero.com/kropotkin-solidarieta-invisibile
“Darwinismo sociale vs Kropotkin”, Estratto di Intervista a Noam Chomsky, https://www.youtube.com/watch?v=3PKxSEDybdc
Presentazione del libro “Il mutuo appoggio – Un fattore dell’evoluzione” di Pëtr Kropotkin a cura del Gruppo Anarchico Germinal di Trieste, https://www.youtube.com/watch?v=Vxa38EmWaY4


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